Spazio biologico e dimensione onirica

Mi sembra chiaro che un aspetto centrale della pittura di Luciano Cacciò in questi anni, e particolarmente nel ciclo ‘La caduta dell’ombra’, sia la frequentazione immaginativa di uno spazio lirico. E in questo senso anzi questo ciclo riconferma, portandole però alle conseguenze ultime, le scelte di fondo proprie della ricerca pittorica di Cacciò già della prima metà degli anni Settanta, come nel ciclo ‘I frammenti di caccia’, di tensione immaginativa tutta rivolta a un capovolgimento interiore della stessa sollecitazione visiva ed oggettuale. Certo in questi anni il clima della pittura di Cacciò si è fatto invece densamente drammatico, folto com’è di trasalimenti, quasi di dimensione di incubo. E indubbiamente da un rapporto con l’esterno, pur capovolto appunto in prospettiva interiore declinata in evocatività lirica, questa sua pittura si è orientata decisamente al rapporto con una realtà immaginativa tutta interiore, e appare assai intenta nell’ispezione di uno spazio onirico. Il campo si è rarefatto e delimitato. La stessa evocatività, tendente ad indefinite i confini delle immagini e i connotati spaziali, cede ora ad una condizione psicologica molto più netta e incisiva. L’ambiguità non è più fra presenza ed assenza di immagini, fra il loro apparire e disparire continuo; è ora invece nella natura stessa delle immagini, che affiorano e assillano. Anziché di una profondità infinita, lo sguardo interiore accerta di una spazialità limitata: il limite c’è ed è chiaramente presente, anche se appare assorbito nell’ombra caduta. In questi dipinti ricorre infatti quasi la delimitazione di uno spazio chiuso, di una sorta di stanza: sembra dichiararlo in particolare quell’accenno ricorrente di finestra, però cieca ed invalicabile. E dentro questo spazio si aggirano immagini fluttuanti, in sospensione di gravità più che in volo. Ecco dunque che la frequentazione di questo spazio si risolve in un’ispezione folta di sorprese e trasalimenti, di incubi affioranti e però anche caduchi, ma che comunque quasi accennano a un ritorno ciclico. Ispezione dunque di uno spazio interiore ove ogni accenno naturale o biologico è come ‘riconvertito’ in dimensione appunto onirica. Naturalmente è un’ispezione inquieta e inquietante, alla quale Cacciò invita nell’intenzione di indurre non ad un incontro tutto individuale, quasi di confessione, quanto piuttosto ad un approdo di orizzonte d’interiorità non soggettiva, ma in certo modo direi di condizione collettiva, non confessione individuale, dunque, ma ispezione di una condizione che esistenzialmente ci riguarda. Una condizione che è precisamente quella della lotta, quasi claustrofobica, fra spazio chiuso, ombra, e affermazione vitale, sollevamento, forse possibilità di fuga e liberazione da quella cattività. Una condizione che appare più precisamente storica, nel sottile e ambiguo dibattito fra emergenza e condizionamento, chiaramente emblematico di una realtà d’esistenza, d’una tensione psicologica, persino d’una verità sociale che direttamente ci riguarda.

Enrico Crispolti 1978


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