Le Terre trovate

“Le terre trovate” evocano un mondo di divina bellezza, ritualità pagana o divina che sempre all’infinito tende. Trovare l’amore per la terra, l’amore antico; il sublime canto che dalla natura proviene; gli antichi canti, gli antichi riti. “Le terre trovate” sono forse il casuale incontro (ma cercato) di Luciano Cacciò con la natura; nel ciclo dei quadri che lo compongono l’artista crea il suo universo fatto di colore, spiritualità, speranza. E’ il ciclo del desiderio: il desiderio del ritorno alla primitiva purezza dell’uomo, a quell’istinto posto nella materia che limpido era all’inizio e tale vorrebbe ritrovarlo, l’artista. Col desiderio lo ricerca; superiore ecologia dell’anima che vuole depurare ogni scoria che dalla natura pure emerge per ritrovarne la purezza mitica. Ecco la “terra trovata”, trovato è il primo canto, il primigenio canto che ad ogni stagione della natura quietamente si leva, ritorna. “….ho la sensazione di essere divorato dalla terra madre per tornare a far parte di essa (Beuys)”; idea magica, ritualità dell’arte. Terra: la dea madre, l’artefice generosa, la generatrice dell’abbondanza. Fertilità e terra, Cerere divina, sublime parto della fantasia del Creatore. La prima vita, la prima idea. E le “terre” di Cacciò, sottili sfoglie di materia ricoprenti lunghe stesure di carta fine, sono il simbolo del creato nella sua interezza, nella sua bellezza feconda. Stralci di gemme, di germinazioni ricche riconducono all’uomo, alla sua fisicità, al suo concreto essere. Amando la natura Cacciò l’ha portata a traslato della vita. Ocra, bruni, gialli profondi, verdi sono le note cromatiche del suo tessuto denso; plasma ed humus, vitale linfa che mai si consuma. Elegia della vita sono le “terre” di Cacciò, sostrato di tutti gli elementi: alberi, fiori, cielo e nuvole: eterno fondale che mai non muta, paesaggio dell’anima che nel pensiero poggia. L’informale di Cacciò non ha forma perché tutte le contiene, le forme. E’ un amalgama di effluvi, di vapori, di nuvole quasi, che verso l’alto si levano. Se l’Astratto supera la natura ed è concetto e non-forma immaginata, l’informale sottolinea ancor di più il fluido e continuo andare delle cose e celebra la forza della natura quale forza della vitalità, dell’energia. La terra ha il potere di ridonare speranza a chi l’ha perduta. L’orizzonte si apre, dalla terra al cielo il passaggio è breve perché il cielo ricopre la terra, la illumina col sole la bagna con l’acqua, la feconda con la pioggia; terra e cielo sono un tuttuno. L’alveo dell’uomo e la terra e il tratto del suo passaggio, del suo cammino si ritrova. Trovare la terra è trovare la vita. Il ciclo dunque delle “terre” di Cacciò è il momento del ritorno, del lieto fine che consolida pensieri, desideri, effetti. Terra, eco del divino. Verde richiamo. Verde impalpabile è il colore, un ocra talvolta marcato, talvolta sfumato, talaltra verde commisto al rosa (verde-rosa); bellissimo ciclo, pittura raffinata dai toni tenerissimi. Nella tessitura del colore, una sottile striscia più scura appare; una ombra concava, un solco accennato; è la terra cha affiora dall’universo del colore, dalle mille sfaccettature della materia, dalle effusioni della natura; da essa evapora l’umore salvifico che dà contenuto e ricchezza alla vita ed ogni quadro contiene il tratto bruno dal quale umori vitali si levano. I fondi chiari accolgono le ombre della terra, lievi frammenti di zolle; nell’aria informe linee di terra si profilano. Le “terre trovate” accolgono il paesaggio del pensiero e della natura insieme, dialogo e comunione fra cielo e terra, fra il mondo e l’uomo. “Le terre”: un universo pittorico cantiere della natura. Le “terre trovate” sono dunque tutto il possibile per l’uomo, l’appagamento dell’ansia, dell’angoscia, della sofferenza che nella natura trova sollievo e privilegiato salmo. Gli antichi canti, gli antichi riti; sublime canto che dalla natura proviene.

Clotilde Paternostro. Roma, Ottobre 2008


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